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Salute
Ogni giorno nel mondo muoiono 18.000 bambini. Questa è la notizia che ogni giorno dovrebbe eclissare tutte le altre, ma che nessun quotidiano o telegiornale metterebbe mai in prima pagina.
18.000 bambini che vivono in massima parte in Africa e in Asia meridionale, e che perdono la vita quasi sempre per cause banali, facili da prevenire o curare, e che in Occidente sono state da tempo debellate. Come la malaria, il morbillo, la diarrea o lo stesso AIDS, che insieme provocano circa il 30% della mortalità infantile a livello globale, ma che in Italia o negli altri paesi OCSE solo eccezionalmente mietono vittime.
Difendere la salute dei bambini significa innanzitutto combattere la povertà e le scarse conoscenze degli adulti in tema di igiene, nutrizione e prevenzione delle malattie. Perché in senso più ampio, le principali malattie killer dell'infanzia sono figlie della miseria e dell'ignoranza.
L'azione dell'UNICEF
Sin dai primi anni Ottanta l'UNICEF ha identificato nelle misure ad alta efficacia e a basso costo (o a costo zero, come l'allattamento al seno), più che in costose infrastrutture o farmaci di ultima generazione, la soluzione per vincere le sfide della sopravvivenza infantile nei paesi più poveri.
Dal 2002, ad esempio, l'UNICEF promuove in Africa centrale e occidentale una strategia denominata ACSD (Sviluppo accelerato per sopravvivenza e lo sviluppo della prima infanzia) che fonda il proprio successo su un "pacchetto" di misure preventive e terapeutiche a basso costo e sulla gestione comunitaria e familiare delle stesse.
Zanzariere, sali reidratanti, vaccini, micronutrienti, allattamento al seno e naturalmente l'accesso ad acqua potabile e servizi igienici elementari salvano milioni di vite ogni anno, e hanno contribuito allo straordinario calo della mortalità infantile dal 1990 a oggi (-47%).
I progressi - e questa è davvero la buona notizia - sono diventati particolarmente rapidi dal 2000 in poi, tanto da motivare la nostra organizzazione a lanciare una campagna di lungo periodo ispirata al tema del "Vogliamo Zero" (mortalità infantile).
Altrettanto decisivi sono i cambiamenti nei comportamenti individuali, come la pratica del regolare lavaggio delle mani, che secondo studi epidemiologici (pubblicati sul prestigioso The Lancet) dimezza le probabilità di contrarre polmonite, diarrea o infezioni della pelle: di qui la decisione di dedicare a questa semplice abitudine una Giornata mondiale, lo Handwashing Day.
Certamente la salute infantile dipende da numerosi fattori: economici, ambientali, culturali, familiari, ma soprattutto dalla maggiore o minore volontà politica di affrontare le cause di morbilità e mortalità precoce. Paesi con reddito anche molto basso hanno compiuto progressi maggiori rispetto ad altri, più ricchi, che hanno privilegiato le spese militari rispetto agli investimenti nella salute pubblica.
Un discorso analogo vale per la mortalità materna, fenomeno limitato al 99% ai Paesi in via di sviluppo: ancora oggi sono 358.000 le donne che ogni anno muoiono dando alla luce un figlio.
Nelle emergenze
A fare la differenza è anche la stabilità interna di un paese: Sierra Leone e Somalia, lacerati da decenni di conflitti interni, detengono non a caso i tassi di mortalità infantile più elevati al mondo, seguiti da due paesi poverissimi e investiti dall'emergenza alimentare che affligge la regione del Sahel, come Mali e Ciad.
Più numerose ancora delle vittime dirette dei combattimenti, infatti, sono le vite che si perdono per la devastazione dei sistemi sanitari, la carenza di personale medico preparato, il peggioramento nelle condizioni igieniche e nutrizionali: durante una guerra, i bambini sotto i 5 anni muoiono soprattutto di infezioni respiratorie non curate, diarrea e malattie contagiose.
Nelle emergenze umanitarie l'UNICEF ha spesso il ruolo di agenzia leader per la tutela salute infantile. Nella prima fase della crisi l'azione si concentra sulla fornitura di farmaci salva-vita, sulle vaccinazioni e sulla prevenzione delle epidemie. Successivamente, l'UNICEF lavora per ricostituire il sistema sanitario periferico e per trasformare progressivamente l'intervento di emergenza in programma di sviluppo a lungo termine.